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di Alessandro Melazzini

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3 dicembre 2009

No, non bisognava scuoterle. Peccato averlo scoperto solo adesso. Alzi la mano chi, dopo aver scattato una Polaroid, non abbia mai sventolato la foto emessa dalla macchinetta con l'intento di asciugarla. Altro che migliorarne il fissaggio: era tutto sbagliato. «Se penso che ho passato anni a cercare di rendere la chimica più resistente a questo trattamento… ma che ci vuoi fare, ai clienti quel gesto piaceva troppo!», mi svela André Bosman tra il perplesso e il divertito. Siamo in una fabbrica di Enschede, un paesino olandese al confine con la Germania. Qui André ha lavorato per quasi trent'anni come responsabile tecnico e di produzione di un mito. Quello della Polaroid.
Nei tempi di gloria in questi stanzoni ora silenti venivano assemblati 65 milioni di pacchetti l'anno. Erano le scatoline di plastica contenenti batteria e negativi necessari al funzionamento delle macchine fotografiche più alla moda dell'era analogica. Tempi in cui bisognava attendere giorni se non settimane per ritirare i propri scatti sviluppati — e giocoforza sbirciati — nella camera oscura del negoziante. Per questo la tecnologia istantanea di Polaroid, permettendo di ammirare le proprie creazioni appena qualche minuto dopo aver fatto click, venne adottata da fotografi impazienti, tecnici entusiasti, creativi ed erotomani. Poi lo scatto digitale sconvolse le carte e tra i manager dell'azienda americana si diffuse il panico.
Dopo una serie di alti e bassi la proprietà decide di lasciare il campo con onore, senza ancora essere finiti in perdita. «Fu un suicidio programmato con largo anticipo — racconta Bosman —. La cerimonia di chiusura si tenne nel giugno dell'anno scorso proprio qui a Enschede, l'ultimo stabilimento al mondo ancora in funzione. Nei mesi successivi il mio compito sarebbe stato quello di far demolire i macchinari di assemblaggio rimasti, sgomberare i capannoni, consegnare le chiavi della fabbrica e togliere il disturbo spegnendo la luce». Ma proprio quel giorno André conosce Florian Kaps, un manager e artista austriaco che gestisce a Vienna un negozio Polaroid nonché un sito di entusiasti della pellicola istantanea (www.polapremium.com). Florian è stato invitato al funerale di Enschede come contentino per l'entusiasmo con cui ha cercato di dissuadere la proprietà dal passo finale. Tra Bosman e Kaps ci vuole un attimo — anzi un istante — per far scattare il colpo di fulmine. I due capiscono di condividere la stessa passione e di essere entrambi dotati di una buona dose di pazzia. Trascorrono il fine settimana chiusi nell'ufficio di André e la domenica sera ne escono con una certezza. Reinventare la fotografia istantanea, nonostante tutta la tecnologia di produzione sia andata irrimediabilmente distrutta. «Il lunedì successivo corsi dalla squadra di demolizione ordinando di fermare tutto» ricorda ancora oggi André visibilmente toccato. «Quel giorno ruppi tutte le regole aziendali a cui mi ero attenuto da sempre, ma se fossi andato a chiedere il permesso ai manager nessuno avrebbe capito. E mentre io impedivo la distruzione fisica del poco rimasto, Florian iniziò una trattativa estenuante con gli americani per acquistare il tutto anziché buttarlo al macero». L'operazione è talmente piena d'incognite che i due appassionati si battezzano The impossible project (www.the-impossible-project.com). Presto al progetto si affianca l'investitore Marwan Saba che riesce a raccogliere tra amici e appassionati 2,6 milioni di euro. Quando l'americano Tom Petters, ex proprietario di Polaroid, riceve una visita per frode dall'Fbi, l'ufficio del fisco americano finalmente velocizza la vendita dei macchinari salvati ai fiduciosi "impossibili".
«Certo siamo mossi da un grande entusiasmo — assicura Florian Kaps — ma questo non significa che agiamo da sconsiderati. La realtà è che là fuori c'è un mercato composto da tantissimi appassionati della Polaroid a cui quando finiranno le scorte mancheranno del tutto i negativi». Rispetto al digitale si tratta di una nicchia, ma benestante, diffusa su tutto il pianeta e connessa da una miriade di siti a tema, tra cui l'italiano polaroidartitaly.ning.com.
Dalla loro hanno anche gli attuali titolari della licenza Polaroid, il Summit Global Group (sede negli Usa e in Cina), e contano di sviluppare un business di 900 milioni di euro nei prossimi cinque anni. La sfida è di ricreare la batteria e il composto chimico per lo sviluppo dell'istantanea, utilizzando una tecnologia completamente diversa da quella andata distrutta. Sul sito degli "impossibili" scorre un contatore. «Indica i secondi alla fine di quest'anno — mi spiega Kaps — e allo zero André mi ha promesso che riceverò una telefonata in cui mi comunica che ce l'abbiamo fatta». In realtà, confida Bosman, lui e la dozzina di colleghi dello stabilimento salvati dalla disoccupazione già ora hanno raggiunto lo scopo: i primi negativi saranno in vendita dall'inizio del 2010. «La nostra non è semplice nostalgia — precisa Bosman —, noi vogliamo andare incontro al nuovo. E nuovi saranno la maggior parte dei clienti. Ragazzi, sperimentatori, gente che vuole utilizzare la Polaroid come strumento artistico». Sarebbe anche un ritorno alle origini, quando il fondatore Edwin Herbert Land negli anni Quaranta del secolo scorso iniziò a commercializzare le sue macchine, pensandole adatte soprattutto a un pubblico di creativi.
Ma cosa ha spinto i due a imbarcarsi in un'impresa che loro stessi hanno battezzato come impossibile, chiedo cercando di interpretare il loro entusiasmo? «Difficile spiegare la magia della Polaroid, anche perché ognuno la declina in maniera diversa — riflette Kaps —, ma chi nell'era dell'mp3 sta riscoprendo il vinile capirà benissimo cosa intendiamo». «È tutta una questione di emozioni — chiarisce André —: una foto istantanea è fatta di materia, si tocca, si ammira, si attende con impazienza il momento in cui sarà sviluppata, scuotendola anche se è sbagliato. Si ascolta con piacere il suono meccanico del click quando premi il bottone. E poi c'è sempre l'imprevisto di mezzo. Sì, quello che stiamo facendo è di ricreare foto imperfette. La Polaroid piace proprio per questo». D'altronde è il motivo che spinge molti appassionati a scattare foto istantanee per poi scannerizzarle e mettere su Internet le loro creazioni. Certo farebbero prima a usare direttamente le macchine fotografiche digitali. Ma provare emozioni non significa rendere le cose più semplici.

3 dicembre 2009
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